Molti le utilizzano per “tabellare”, come allenamento in vista degli obiettivi stagionali, per esempio per i lunghi e i lunghissimi nelle settimane e nei mesi che precedono le maratone. Altri, più tranquillamente, vedono nella tapasciata l’occasione per correre all’aria aperta, lontano dalla città, in compagnia. Come i cercatori di funghi, i tapascioni di città si svegliano prima dell’alba, passano a prendere gli amici e partono. Di solito però, a differenza dei cercatori di funghi, i tapascioni non tengono nascosta al mondo la loro meta, ma socializzano, formano gruppi, condividono sui social tracciati e foto. Che nel caso delle tapasciate non sono quasi mai tempi e personal best, ma immagini di risottate, incursioni nelle cascine, immagini del contadino che all’arrivo vende uova fresche e taleggio.
Sì, perché le tapasciate migliori spesso sono quelle che si tengono nel cuore dell’inverno, quando ci si ritrova tra le 7.30 e le 8 della domenica mattina con la temperatura spesso sotto zero e si direbbe quasi che la nebbia salga su, oltreché dal fiume nascosto dietro i castagni, dal respiro simultaneo di un migliaio di runner infreddoliti che iniziano pian piano a scaldarsi e a farsi simultaneamente tutti la stessa domanda: ma che ci faccio io qui?